pane facile cotto in pentola
Queste giornate sospese con il cambio d'ora che non ha stravolto nulla, come invece capitava in passato, quando interagendo con il resto del mondo era necessario avere una giornata scandita rigorosamente dalle ore e dai minuti.
Oggi sembra che tutto questo sia assai relativo. Se non fosse per il telefono che si adegua automaticamente, io potrei continuare a vivere con il vecchio orario, anzi, diciamo che continuo a farlo, mi sveglio e prendo i pasti sempre con un'ora di scarto.
Lo leggo anche come un piccolo atto di ribellione alle convenzioni, è un modo forse di esprimere una propria insita e salutare anarchia.
Partire proprio dall'ora è davvero assai simbolico e carico di significato.
Il tempo esiste a prescindere ma è il misurarlo per catturarlo dentro scatole con meccanismi di vario tipo, in maniera così precisa che si è reso necessario affinché la nostra evoluzione, il nostro progresso si potessero compiere.
A un certo punto non è più bastato il cammino del sole e l'arrivo della luna, non è bastato il cielo con le sue luci. Anche se il cielo è sempre stato il nostro riferimento sia per lo spazio con le sue stelle, sia per il tempo guardando la luce mobile del sole e la sua ombra.
Il tempo, appunto, sembrerebbe un qualcosa che mi sta stretta e che spesso mi mette ansia, soprattutto quando mi si affastellano tante cose in testa da fare, o quando mi accorgo che il suo trascorrere ha lasciato dei segni su di me (le fotografie in questo sono terribili e spietate, forse il fatto che oggi raramente le stampiamo e preferiamo lasciarle poi morire nella memoria di un telefonino è un sintomo di questa fuga e credo che anche questa sia una forma di ribellione contro la crudeltà del tempo che passa, condizione difficile da accettare).
Nonostante questo mio proposito anarchico di rompere con la convenzione del tempo incanalato nell'orologio, mi rimane comunque intollerabile per la mia fragilità mentale, l'idea di qualcosa che faccio ora per poi riprenderla tra un giorno, l'indomani, un mese, un anno.
L'ansia mi piglia e mi attanaglia.
Il culmine di questo disagio lo raggiungo quando prenoto i biglietti aerei.
Questa idea che succederà quella cosa lì tra due mesi...anzi, sarebbe più corretto dire che dovrebbe succedere, ecco dove sta la fonte dell'ansia, in questo condizionale che diventa sempre più obbligatorio man mano che la prospettiva temporale si allunga.
Ecco, a me il condizionale mette ansia, così questo mio irrazionale rifiuto del tempo passato (per la sua inclemenza) e per quello futuro (mai certo, anche se in italiano esiste il futuro semplice con io farò, io sono pur sempre figlia di una lingua, il siciliano, che non ha futuro ma ha solo il condizionale "avissi affari", dovrei farlo) é un tentativo di accogliere un presente libero, oggi anche dall'orologio, che mi porta a cercare ricette che non implichino tempi lunghi.
Incuriosita dalla cottura in pentola del pane ho cercato di capire se effettivamente questa metodologia fosse necessariamente correlata, per una buona riuscita, ai tempi lunghi di maturazione dell'impasto (non lievitazione, come spesso si legge e si sente dire, erroneamente), magari per un discorso enzimatico che poi in cottura, chiuso in un coperchio, avrebbe chissà quale vantaggio finale.
Ma qui ha prevalso la mia ansia e allora quando mi sono ritrovata davanti ricette con formule del tipo "impasti stasera e poi inforni domani" oh mio dio, no, non ce la posso fare!
Così ho provato a farlo con i tempi relativi solo alla lievitazione, quelli canonici.
Ebbene il risultato è eccezionale e, soprattutto, ho finalmente usato per la prima volta la mia bellissima pentola in ghisa che mi ero auto regalata a Natale!
Correte a farlo...ops, magari correre per cosa, non c'è bisogno!
Alla fine la dimensione temporale è dilatata, così anche lo spazio è necessariamente variato, per cui andare dalla camera da letto alla cucina diventa un viaggio, quindi con calma, godetevi il tragitto e andate a fare questo pane.
Potrete usare qualsiasi pentola, l'importante che abbia un fondo spesso e un coperchio consono, senza ovviamente manici in plastica o legno.
Pane cotto in pentola (1 kg circa)
600g di semola di grano duro (di cui 60g per il lievitino)
200g di Manitoba (comunque una farina di forza di 460 w e un 15,5 di proteina)
5g di lievito di birra fresco
1 cucchiaino di zucchero
acqua al 75/80% del peso della farina (da cui prelevare un 60g per il lievitino)
15g di sale
2 cucchiai d'olio evo
Se volete fare il pane per la sera, io vi consiglio di preparare il lievitino prima di pranzo, così mentre siete seduti a tavola il lievitino fa il suo lavoro.
Ore 13,00
In una ciotola sciogliete il lievito con 60g d'acqua, unite lo zucchero, girate bene con un cucchiaino e unite la farina, dovreste ottenere una pastella. Coprite con la pellicola e sedetevi a mangiare.
Alle 13,45, dopo il pasto e due chiacchiere, vi accorgerete che il lievitino ha fatto delle bolle in superficie, bene, vuol dire che è pronto.
Se lavorate a mano
In una ciotola mettete tutta la farina, sia la semola che la Manitoba, fate un buco e unite il lievitino.
Con un cucchiaio mischiate e unite a poco a poco l'acqua, almeno in 4 riprese.
Tra la terza e la 4 aggiunta d'acqua, unite il sale. L'impasto sarà molto molle e appiccicoso, finita l'acqua, unite l'olio evo e lavorate fino a quando non sarà stato tuto assorbito.
Non dovrete lavorare tanto l'impasto, giusto per far intridere bene la farina con la parte liquida.
Se lavorate con la planetaria
Nella ciotola metterete quasi tutta l'acqua con il sale e mischiate con il gancio, poi unite la farina a più riprese, tra la seconda e la terza unite il lievitino.
L'acqua, a volte, quando si usa la planetaria, risulta eccessiva, ma non sempre, quindi vi consiglio di lasciarne un po' indietro e nel caso aggiungete. La consistenza dell'impasto dovrà essere molto molle e appiccicosa.
Completate con l'aggiunta della farina.
Per ultimo unite l'olio evo. Quando non vedrete più traccia dell'olio l'impasto è pronto.
Finita la fase dell'impasto, cospargete l'asse con molta farina e sbattetevi sopra l'impasto e aiutandovi con un tarocco (una spatola) date delle pieghe. Portate il lembo di destra al centro e poi fate la stessa cosa con il lembo di sinistra.
Poi fate la stessa cosa dalla parte alta e ribaltate l'impasto in modo da avere la chiusura in basso.
Ungete una ciotola da poter contenere il raddoppio, in cui trasferirete l'impasto, mettete a riposare l'impasto coprendo con la pellicola e anche una coperta.
Fategli fare un sonnellino di circa due ore.
Scaldate il forno a 250°C inserendo già la pentola che userete, senza coperchio, ungetela un po', mi raccomando, altrimenti si rovina.
Sulla spianatoia mettete di nuovo molta farina e lasciate cadere delicatamente l'impasto dalla ciotola. Sempre con l'aiuto della spatola, date ancora delle pieghe come prima.
Preparate un canovaccio pulito che non profumi di ammorbidente e con molta delicatezza vi trasferite l'impasto.
Facendo tanta, tantissima attenzione, con l'aiuto delle presine, prendete la pentola dal forno, mettetela su un poggiapentola.
Con il canovaccio lasciate scivolare l'impasto con molta, moltissima delicatezza all'interno della pentola. Fate dei tagli sulla superficie, mettete il coperchio e mettete in forno.
Abbassate la temperatura a 220°C e lasciate per circa 20 minuti.
Poi abbassate a 200 e lasciate ancora 20 minuti.
Poi abbassate a 180 e lasciate altri 10 minuti.
Spegnete il forno e con molta attenzione estraete la pentola, scoperchiate e avrete il vostro bel pane.
Aspettate che raffreddi bene, prima del taglio, inebriatevi con il suo profumo.
Oggi sembra che tutto questo sia assai relativo. Se non fosse per il telefono che si adegua automaticamente, io potrei continuare a vivere con il vecchio orario, anzi, diciamo che continuo a farlo, mi sveglio e prendo i pasti sempre con un'ora di scarto.
Lo leggo anche come un piccolo atto di ribellione alle convenzioni, è un modo forse di esprimere una propria insita e salutare anarchia.
Partire proprio dall'ora è davvero assai simbolico e carico di significato.
Il tempo esiste a prescindere ma è il misurarlo per catturarlo dentro scatole con meccanismi di vario tipo, in maniera così precisa che si è reso necessario affinché la nostra evoluzione, il nostro progresso si potessero compiere.
A un certo punto non è più bastato il cammino del sole e l'arrivo della luna, non è bastato il cielo con le sue luci. Anche se il cielo è sempre stato il nostro riferimento sia per lo spazio con le sue stelle, sia per il tempo guardando la luce mobile del sole e la sua ombra.
Il tempo, appunto, sembrerebbe un qualcosa che mi sta stretta e che spesso mi mette ansia, soprattutto quando mi si affastellano tante cose in testa da fare, o quando mi accorgo che il suo trascorrere ha lasciato dei segni su di me (le fotografie in questo sono terribili e spietate, forse il fatto che oggi raramente le stampiamo e preferiamo lasciarle poi morire nella memoria di un telefonino è un sintomo di questa fuga e credo che anche questa sia una forma di ribellione contro la crudeltà del tempo che passa, condizione difficile da accettare).
Nonostante questo mio proposito anarchico di rompere con la convenzione del tempo incanalato nell'orologio, mi rimane comunque intollerabile per la mia fragilità mentale, l'idea di qualcosa che faccio ora per poi riprenderla tra un giorno, l'indomani, un mese, un anno.
L'ansia mi piglia e mi attanaglia.
Il culmine di questo disagio lo raggiungo quando prenoto i biglietti aerei.
Questa idea che succederà quella cosa lì tra due mesi...anzi, sarebbe più corretto dire che dovrebbe succedere, ecco dove sta la fonte dell'ansia, in questo condizionale che diventa sempre più obbligatorio man mano che la prospettiva temporale si allunga.
Ecco, a me il condizionale mette ansia, così questo mio irrazionale rifiuto del tempo passato (per la sua inclemenza) e per quello futuro (mai certo, anche se in italiano esiste il futuro semplice con io farò, io sono pur sempre figlia di una lingua, il siciliano, che non ha futuro ma ha solo il condizionale "avissi affari", dovrei farlo) é un tentativo di accogliere un presente libero, oggi anche dall'orologio, che mi porta a cercare ricette che non implichino tempi lunghi.
Incuriosita dalla cottura in pentola del pane ho cercato di capire se effettivamente questa metodologia fosse necessariamente correlata, per una buona riuscita, ai tempi lunghi di maturazione dell'impasto (non lievitazione, come spesso si legge e si sente dire, erroneamente), magari per un discorso enzimatico che poi in cottura, chiuso in un coperchio, avrebbe chissà quale vantaggio finale.
Ma qui ha prevalso la mia ansia e allora quando mi sono ritrovata davanti ricette con formule del tipo "impasti stasera e poi inforni domani" oh mio dio, no, non ce la posso fare!
Così ho provato a farlo con i tempi relativi solo alla lievitazione, quelli canonici.
Ebbene il risultato è eccezionale e, soprattutto, ho finalmente usato per la prima volta la mia bellissima pentola in ghisa che mi ero auto regalata a Natale!
Correte a farlo...ops, magari correre per cosa, non c'è bisogno!
Alla fine la dimensione temporale è dilatata, così anche lo spazio è necessariamente variato, per cui andare dalla camera da letto alla cucina diventa un viaggio, quindi con calma, godetevi il tragitto e andate a fare questo pane.
Potrete usare qualsiasi pentola, l'importante che abbia un fondo spesso e un coperchio consono, senza ovviamente manici in plastica o legno.
Pane cotto in pentola (1 kg circa)
600g di semola di grano duro (di cui 60g per il lievitino)
200g di Manitoba (comunque una farina di forza di 460 w e un 15,5 di proteina)
5g di lievito di birra fresco
1 cucchiaino di zucchero
acqua al 75/80% del peso della farina (da cui prelevare un 60g per il lievitino)
15g di sale
2 cucchiai d'olio evo
Se volete fare il pane per la sera, io vi consiglio di preparare il lievitino prima di pranzo, così mentre siete seduti a tavola il lievitino fa il suo lavoro.
Ore 13,00
In una ciotola sciogliete il lievito con 60g d'acqua, unite lo zucchero, girate bene con un cucchiaino e unite la farina, dovreste ottenere una pastella. Coprite con la pellicola e sedetevi a mangiare.
Alle 13,45, dopo il pasto e due chiacchiere, vi accorgerete che il lievitino ha fatto delle bolle in superficie, bene, vuol dire che è pronto.
Se lavorate a mano
In una ciotola mettete tutta la farina, sia la semola che la Manitoba, fate un buco e unite il lievitino.
Con un cucchiaio mischiate e unite a poco a poco l'acqua, almeno in 4 riprese.
Tra la terza e la 4 aggiunta d'acqua, unite il sale. L'impasto sarà molto molle e appiccicoso, finita l'acqua, unite l'olio evo e lavorate fino a quando non sarà stato tuto assorbito.
Non dovrete lavorare tanto l'impasto, giusto per far intridere bene la farina con la parte liquida.
Se lavorate con la planetaria
Nella ciotola metterete quasi tutta l'acqua con il sale e mischiate con il gancio, poi unite la farina a più riprese, tra la seconda e la terza unite il lievitino.
L'acqua, a volte, quando si usa la planetaria, risulta eccessiva, ma non sempre, quindi vi consiglio di lasciarne un po' indietro e nel caso aggiungete. La consistenza dell'impasto dovrà essere molto molle e appiccicosa.
Completate con l'aggiunta della farina.
Per ultimo unite l'olio evo. Quando non vedrete più traccia dell'olio l'impasto è pronto.
Finita la fase dell'impasto, cospargete l'asse con molta farina e sbattetevi sopra l'impasto e aiutandovi con un tarocco (una spatola) date delle pieghe. Portate il lembo di destra al centro e poi fate la stessa cosa con il lembo di sinistra.
Poi fate la stessa cosa dalla parte alta e ribaltate l'impasto in modo da avere la chiusura in basso.
Ungete una ciotola da poter contenere il raddoppio, in cui trasferirete l'impasto, mettete a riposare l'impasto coprendo con la pellicola e anche una coperta.
Fategli fare un sonnellino di circa due ore.
Scaldate il forno a 250°C inserendo già la pentola che userete, senza coperchio, ungetela un po', mi raccomando, altrimenti si rovina.
Sulla spianatoia mettete di nuovo molta farina e lasciate cadere delicatamente l'impasto dalla ciotola. Sempre con l'aiuto della spatola, date ancora delle pieghe come prima.
Preparate un canovaccio pulito che non profumi di ammorbidente e con molta delicatezza vi trasferite l'impasto.
Facendo tanta, tantissima attenzione, con l'aiuto delle presine, prendete la pentola dal forno, mettetela su un poggiapentola.
Con il canovaccio lasciate scivolare l'impasto con molta, moltissima delicatezza all'interno della pentola. Fate dei tagli sulla superficie, mettete il coperchio e mettete in forno.
Abbassate la temperatura a 220°C e lasciate per circa 20 minuti.
Poi abbassate a 200 e lasciate ancora 20 minuti.
Poi abbassate a 180 e lasciate altri 10 minuti.
Spegnete il forno e con molta attenzione estraete la pentola, scoperchiate e avrete il vostro bel pane.
Aspettate che raffreddi bene, prima del taglio, inebriatevi con il suo profumo.
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