dolce soffice alle pesche e amaretti con cacao e mandorle
Si sentiva il verso del cuculo mentre la luce dorata estiva si riposava sui filari di vite e sui noccioli.
Era il momento in cui si legavano i rami più lunghi della vite. Si camminava per questi terreni un po’ scoscesi, sotto il sole del tardo pomeriggio, si controllavano le piante e si azzardava una stima circa la raccolta dell’autunno. Quelle colline “ricamate” dalle piante di vite erano il grembo nel quale sarebbe cresciuta l’uva che, sapientemente elaborata, avrebbe dato il vino annoverato tra i migliori al mondo.
Nella “cucina estiva”, così veniva chiamato l’edificio staccato dal resto della casa — in passato era stato un vecchio fienile —, al cui piano terra vi era una sobria cucina in muratura con un grande tavolo per ospitare fino a una ventina di commensali. Si accedeva da una grande porta a vetri da cui, appena si levava un po’ di vento, svolazzava una zanzariera gialla.
Il tavolo ospitava sulle sue assi di legno grezzo, trattato con cera d’api, chili di frutta di vario tipo. I raggi di sole, che arrivavano da ovest, entravano da una grande finestra che dava su un campo di noccioli. La luce ambrata, di fine giornata, colpiva il tavolo e la frutta così da spandersi, per tutto l’ambiente, il profumo di pesche, albicocche, susine e ramasin. Era un odore inebriante che dava alla testa.
La frutta era stata già selezionata per preparare le marmellate, mentre in un grande piatto bianco con decori gialli, sostavano delle belle pesche grosse e gialle. Ceste intrecciate ospitavano dei grossi pomodori cuore di bue la cui polpa, il suo gusto inconfondibile, ricordo ancora.
In un angolo del tavolo stava una grande boccia piena di amaretti, un’altra più piccola, invece, conservava l’aroma dei pinoli e in una scatola di latta, dai ghirigori verdi e rosa, stava dell’ottimo cacao. Completavano la lista delle cose che stavano sul tavolo, due teglie grandi che potevano entrare solo nel forno a legna che, sul lato opposto della stanza, dalla bocca larga e scura, circondato da frasche e pezzi di legno più grossi, riempiva un angolo della parete.
Domattina, prima dell’alba si sarebbe acceso per cuocere il pane, le pizze, i biscotti e poi, per ultime, le pesche ripiene. Se non conoscete le pesche ripiene dovete rimediare subito, qui trovate la ricetta e ne parlo come una delle cose più buone che ho scoperto nel mio periodo piemontese.
La sera dopo ci sarebbe stata una festa di compleanno dell’anziano di famiglia, nipoti e anche pronipoti sarebbero arrivati da varie parti del Nord Italia. Io mi sentivo un’infiltrata, sentivo un distacco forse per l’incapacità di comprendere il loro concetto di “famiglia”, che a me appariva più come un “clan”. Nonostante ciò, mi sentivo a mio agio, stavo bene, e quella calorosa sobrietà nei rapporti, nonché genuinità un po’ rude, a volte mi manca. Così come mi mancano le albicocche e le pesche di Pasqualina, la carne del macellaio di Monticello, le pesche e i ramasin della signora Franca, per non parlare dei pomodori gustosi e carnosi della signora Oberto.
Il ricordo risale a più di 20 anni fa quando vivendo in Piemonte, ebbi la fortuna di trascorrere molte fine settimana in una casa di La Morra, piccolo paese delle Langhe, terre di vino, soprattutto, ma di tante altre cose buone.
In un angolo del tavolo stava una grande boccia piena di amaretti, un’altra più piccola, invece, conservava l’aroma dei pinoli e in una scatola di latta, dai ghirigori verdi e rosa, stava dell’ottimo cacao. Completavano la lista delle cose che stavano sul tavolo, due teglie grandi che potevano entrare solo nel forno a legna che, sul lato opposto della stanza, dalla bocca larga e scura, circondato da frasche e pezzi di legno più grossi, riempiva un angolo della parete.
Domattina, prima dell’alba si sarebbe acceso per cuocere il pane, le pizze, i biscotti e poi, per ultime, le pesche ripiene. Se non conoscete le pesche ripiene dovete rimediare subito, qui trovate la ricetta e ne parlo come una delle cose più buone che ho scoperto nel mio periodo piemontese.
La sera dopo ci sarebbe stata una festa di compleanno dell’anziano di famiglia, nipoti e anche pronipoti sarebbero arrivati da varie parti del Nord Italia. Io mi sentivo un’infiltrata, sentivo un distacco forse per l’incapacità di comprendere il loro concetto di “famiglia”, che a me appariva più come un “clan”. Nonostante ciò, mi sentivo a mio agio, stavo bene, e quella calorosa sobrietà nei rapporti, nonché genuinità un po’ rude, a volte mi manca. Così come mi mancano le albicocche e le pesche di Pasqualina, la carne del macellaio di Monticello, le pesche e i ramasin della signora Franca, per non parlare dei pomodori gustosi e carnosi della signora Oberto.
Il ricordo risale a più di 20 anni fa quando vivendo in Piemonte, ebbi la fortuna di trascorrere molte fine settimana in una casa di La Morra, piccolo paese delle Langhe, terre di vino, soprattutto, ma di tante altre cose buone.
Queste immagini, appena descritte, scorrono nella mia testa quando sento il profumo della frutta estiva e delle pesche, in particolare, che assieme agli amaretti e al cacao mi ricordano i lugli trascorsi a studiare, con il caldo, le cicale e quel paesaggio così esotico rispetto a quello che, presto, mi avrebbe accolto finiti gli esami, al mio agognato rientro in Sicilia dove tutto mi sarebbe apparso più esasperato quanto familiare.
Così, avendo delle belle pesche, degli amaretti, del cacao, ho pensato che invece di fare le pesche ripiene, di fare un dolce da colazione, un dolce soffice alle pesche e amaretti con cacao e la gentilezza sicula delle mandorle.
Dolce soffice alle pesche e amaretti con cacao e mandorle
250g pesche al netto del nocciolo
100g di granella di mandorle tostata
120g di amaretti
150g di farina
30g di cacao amaro
10g di lievito per dolci
una punta di cucchiaino di bicarbonato
120g di zucchero
80g di burro
2 uova
200g di yogurt naturale o 130 ml di latte intero
In una casseruola fate fondere il burro e lasciatelo raffreddare.
Mettete gli amaretti in un sacchetto resistente e sbriciolateli schiacciando con le mani.
Se non avete tostato la granella, tostatela leggermente. Questo è un piccolo accorgimento che permette alla frutta secca di dare maggiore aroma alla preparazione finale.
In una ciotola, con l’aiuto di una frusta, montate le uova con lo zucchero e un pizzico di sale fino a quando non risulterà un composto chiaro e spumoso.
Unite lo yogurt, mescolate per bene.
Aggiungete la farina e il cacao setacciati con il lievito e il bicarbonato continuate a mescolare con la frusta. Continuando a mescolare, versate a filo il burro .
A questo punto, aggiungete le pesche a pezzettini, gli amaretti sbriciolati e la granella di mandorle.
Date un bel giro con la spatola o un cucchiaio, in modo da uniformare il composto.
Mettete in una teglia unica da 24 precedentemente imburrata o come ho fatto io, in uno stampo per avere dei dolcetti singoli. Mettete in forno.
Se non avete tostato la granella, tostatela leggermente. Questo è un piccolo accorgimento che permette alla frutta secca di dare maggiore aroma alla preparazione finale.
In una ciotola, con l’aiuto di una frusta, montate le uova con lo zucchero e un pizzico di sale fino a quando non risulterà un composto chiaro e spumoso.
Unite lo yogurt, mescolate per bene.
Aggiungete la farina e il cacao setacciati con il lievito e il bicarbonato continuate a mescolare con la frusta. Continuando a mescolare, versate a filo il burro .
A questo punto, aggiungete le pesche a pezzettini, gli amaretti sbriciolati e la granella di mandorle.
Date un bel giro con la spatola o un cucchiaio, in modo da uniformare il composto.
Mettete in una teglia unica da 24 precedentemente imburrata o come ho fatto io, in uno stampo per avere dei dolcetti singoli. Mettete in forno.
La cottura avrà una differenza di circa 10 minuti in più nel caso della teglia più grande. Tra 30/40 minuti, dipende molto dal proprio forno. Per cui consiglio sempre di provare con la lama di un coltello già dopo 25 minuti in modo da potervi rendere conto del grado di cottura raggiunto.
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